La Pasqua a colori nel mondo fantastico di Charles Paterno

Gialli, come il sole a mezzogiorno. Verdi, come un prato in primavera. Rossi, come i papaveri in un campo di grano. Azzurri, come il principe delle favole. Blu, come gli occhi del nonno.
La domenica di Pasqua ne venivano fuori a decine dal pollaio, trasformato in un luogo magico e misterioso, ancora grondanti vernice fresca. Più che spaventati per l’inconsueto trattamento ricevuto, i pulcini sembravano felici di partecipare alla festa. Si agitavano allegramente, scappavano di qua e di là, e lasciavano il segno colorato del loro passaggio dappertutto, per la gioia delle piccole ospiti.
“Benvenute a Windmill Farm, la fattoria delle meraviglie!”.
Anticipato dal coloratissimo regalo, ecco apparire il nonno, come il solito elegante e impeccabile, a parte qualche macchia di vernice che tradiva l’identità dell’autore della sorpresa.
Nonno Charles le inventava proprio tutte per trasformare in una festa la gita della domenica ad Armonk, una cinquantina di chilometri a nord di New York City. Qui, superato l’imponente muro di cinta, si apriva un universo da favola per Toni, Patti e Mimi, le adorate nipotine nate e cresciute tra i rumori, la confusione e il cemento della grande città.


In tempi difficili, con il clamore della seconda guerra mondiale che arrivava dalla vecchia Europa, la fattoria restava un’isola di ottimismo e di allegria, un mondo colorato e fantastico.
La bella casa nel verde con gli ampi saloni in stile coloniale, le scuderie con i cavalli, le stalle con le mucche da latte, il pollaio, il grande frutteto con più di mille piante che in primavera sembravano vestirsi a festa con tanti colori, i giardini, le serre con i fiori freschi tutto l’anno, le morbide colline coperte da un bosco di conifere, i lunghi sentieri alberati per le passeggiate a cavallo, i quattro laghetti con la grande “casa per le barche”, tanto bella e straordinaria che ti aspettavi potesse davvero ospitare un personaggio delle favole. E, come se tutto questo non bastasse, l’incredibile suggestione dei mulini a vento. Sì, autentici mulini a vento nella campagna americana, roba che da queste parti, pure terreno di colonizzazione degli olandesi fin da tre secoli prima, non si era mai vista.
Ma la sorpresa vera era lui, il nonno, il grande nonno Charles.
Oddio, a vederlo non lo avresti definito proprio un omone, con il suo metro e sessantaquattro di altezza per una settantina di chili di peso, una tendenza alla pinguedine e l’andatura segnata da una certa rigidità per via di un ginocchio rotto mentre, bambino, giocava alla “cavallina” sugli idranti delle strade di Manhattan. Portava però i suoi sessant’anni con il piglio sicuro di chi sa di essere davvero “grande”.
L’aria austera, resa ancor più autorevole da un paio di baffi arricciati e girati all’insù, i capelli brizzolati curatissimi, il vestire sobrio e inappuntabile, preferibilmente di bianco, un fiore sempre fresco all’occhiello, l’incedere elegante, la brillante storia personale di vero self-made man, la ricchezza esibita con garbo e misura gli conferivano enorme prestigio agli occhi di chiunque lo incontrasse e avesse modo di parlargli. E poi, quei due grandi occhi blu, scoppiettanti di vivacità, che illuminavano ogni suo discorso di sprazzi di luce …
La giornata con nonno Charles era sempre un po’ speciale. Potevi aspettarti qualunque sorpresa, come la strabiliante trovata di verniciare gli incolpevoli pulcini la domenica di Pasqua.
(dal prologo del mio libro “Il castello sull’Hudson, Charles Paterno e il sogno americano”)

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